L'evitabile condanna al disagio.

27 settembre 2004

di Salvatore Tropea

Se si dovesse trovare una collocazione, scegliendo tra le megalopoli asiatiche o latino-americane e le "shrinking cities" come vengono definite oggi le città che si contraggono e si rimpiccioliscono, non v' è dubbio che Torino finirebbe nel secondo gruppo il quale, a sentire gli esperti di sociologia urbana, ha il merito non trascurabile di facilitare lo sprigionamento di nuove e insospettabili energie. La Torino che si restringe sta anche mutando pelle e questo è un bene perché mette in moto appunto quelle energie per troppo tempo compresse dentro il perimetro di un benessere e di una modernità che un giorno si sono rivelate non proprio inesistenti ma sicuramente inadeguate, facendo toccare con mano l' amara realtà del ritardo e dell' insicurezza circa la possibilità di un recupero. Che questo sia stato propiziato dalle Olimpiadi o imposto dalla crisi dell' industria conta poco. Importa che la metamorfosi è in atto e offre grandi opportunità. Si può invece discutere su come ciò stia avvenendo e non per sterile gusto di polemica o per essere contro a prescindere. Sui tempi si è detto tutto e sono piovute ripetute assicurazioni sul rispetto delle scadenze. Che in Italia sono fissate con una generosità sconosciuta in molti Paesi. Senza avvicinarsi ai record di qualche ospedale del Sud in costruzione da oltre due decenni, anche da queste parti un parcheggio o un semplice rondeau diventano spesso un cantiere eterno che procura disagi ai quali si accompagna, non raramente, una lievitazione dei costi. Dando per scontato questo meccanismo, che qualche solerte amministratore dovrebbe spiegare una volta per tutte ai cittadini contribuenti, resta l' aspetto estetico che, se trascurato, può contribuire ad accentuare il senso di fastidio che coglie anche i meglio disposti verso la realizzazione di opere necessarie per l' immagine e soprattutto per la vivibilità della città. Ci sono diversi modi per realizzare un' opera, l' ultimo dei quali è quello di trasformare i lavori in qualcosa che deturpa la città sia pure per un tempo limitato. Nei paesi più avanzati, dove ancora sopravvive ed ha un senso il rispetto per i cittadini e per la quotidianità con la quale essi fanno i conti, è diffusa da tempo la pratica che tende a ridurre quei disagi che inevitabilmente vengono provocati da lavori stradali e ferroviari, costruzioni di nuovi edifici, ristrutturazioni di diversa natura. Ci sono parecchi accorgimenti per evitare che la città venga deturpata per parecchi mesi ed esposta come un grande animale ferito agli occhi dei suoi abitanti e di quei turisti che non necessariamente hanno messo in conto di aspettare le Olimpiadi del febbraio 2006 per visitarla. A Lione, Parigi, Barcellona, Londra è possibile imbattersi ogni giorno in cantieri sapientemente e in non pochi casi fantasiosamente camuffati in temporanee opere d' arte. Un trompe l' oeil, un giardino, una barriera verde, pannelli colorati e illuminati, piccole deviazioni del traffico appositamente studiate e tanti altri accorgimenti in quelle città fanno dimenticare il disagio di un lavoro in corso che sembra quasi scomparire, cancellato dalla fantasia. Sarebbe difficile per chiunque affermare che queste mimetizzazioni d' artista siano state messe in atto a anche tentate nelle piazze Vittorio Veneto, Valdo Fusi, San Carlo, Carlo Felice e nei tanti angoli di Torino dove il disagio, inevitabile quanto si vuole, viene quasi esibito in qualche caso con una sorta di fatalismo terzomondista. E dove il ricorso al "trucco" è considerato un lusso e il disagio dovuto ai continui funambolismi ai quali è sottoposto la circolazione di mezzi e persone viene imposto come una normalità. E' una questione di fantasia senza neppure tanti costi aggiuntivi. L' alternativa è la sciatteria. Un turista che viene oggi a Torino o anche chi ci abita non necessariamente devono convivere con lo spettacolo di una città sconvolta, depressa, impacciata e buia come lo è in quelle ore del tardo tramonto quando non è ancora notte ma lo sembra per effetto di un' illuminazione delle vie centrali e della periferia che parte con la lentezza ottocentesca dei lampioni a gas. Quel crepuscolo lungo da Indonesia o Nord Corea, quella soffusa oscurità da coprifuoco incipiente sono soltanto testimonianza di cattiva gestione del servizio. Perché se qualcuno fosse tentato di considerarli una voluta forma di virtuosa economia non potrebbe non essere colto da qualche perplessità, pensando a come con i quattrini bruciati dall' operazione Noicom, Aem e Comune avrebbero potuto trasformare Torino in una ville lumière.